La cooperazione internazionale riduce le interruzioni durante la formazione
Un promettente progetto organizzato dalla Federazione svizzera per la formazione continua cerca di ridurre il numero d’interruzioni nella formazione di recupero. L'ex responsabile del progetto Martina Fleischli racconta le sue esperienze e i vantaggi della cooperazione internazionale.
Il progetto europeo DIDO – dropping in the dropout – ha sviluppato alcuni metodi che consentono ai formatori di riconoscere precocemente e impedire gli abbandoni nella formazione. I materiali metodologici-didattici sono stati elaborati sulla base di una ricerca sui motivi degli abbandoni nei paesi partner. La FSEA ha partecipato al consorzio progettuale europeo; in Svizzera ha collaborato con cinque enti di formazione per sviluppare i materiali.
Come è nata questa cooperazione? Come e in base a quali criteri ha conosciuto rispettivamente selezionato i suoi partner?
Con la coordinatrice di progetto belga avevo già collaborato per un progetto Erasmus+ precedente. Le ho chiesto se stesse sviluppando dei progetti rilevanti per la FSEA e se potessimo fornire un contributo. Dato che la collaborazione della FSEA poteva fornire un valore aggiunto al progetto, siamo stati invitati a parteciparvi.
La coordinatrice di progetto aveva già scelto tre partner dotati del know-how necessario. Nelle rispettive reti abbiamo quindi cercato un quarto partner che disponesse di know-how nel campo della ricerca e che potesse a sua volta organizzare la formazione continua transnazionale programmata. Abbiamo così trovato un’organizzazione portoghese che faceva al caso nostro.
Quali sfide ha dovuto affrontare in questo progetto?
La sfida più difficile è consistita nell’elaborare prodotti attinenti e di elevata qualità per contesti ed esigenze molto eterogenei. Ad esempio, alcuni tool didattici che forniscono ai formatori di un paese partner un importante arricchimento in termini di procedura di insegnamento, risultano ridondanti o irrilevanti in un altro paese. Pertanto è stata sviluppata un’ampia gamma di tool adeguati ai diversi contesti.
Da un lato, l’elaborazione degli strumenti in team di sviluppo transnazionali è stata arricchente, perché ha permesso di far confluire le svariate esperienze e competenze dei diversi paesi. Dall’altro lato, alcuni di questi team hanno sviluppato tool che corrispondevano unicamente a un denominatore comune, il che in parte ne ha ridotto la qualità e l’utilità.
Infine, anche la comunicazione (non si parlava la stessa lingua) e il coordinamento (eravamo tutti lontani) all’interno dei team transnazionali non sono stati molto semplici.
Qual è la cosa che le è piaciuta di più di questo progetto?
Innanzitutto mi è piaciuto lavorare su un tema significativo e concreto. Il tema degli abbandoni nella formazione generale e continua interessa gran parte degli enti di formazione. Lo sviluppo di basi che aiutino questi enti ad affrontare il problema risponde dunque a un’esigenza concreta.
In secondo luogo, ho trovato molto arricchente e stimolante il coinvolgimento di addetti ai lavori ed esperti provenienti dalla Svizzera e dai paesi partner. Abbiamo così potuto sviluppare tool pratici destinati a essere utilizzati nella pratica.
In terzo luogo, questo coinvolgimento di esperti e addetti ai lavori di diversi paesi ha fatto sì che nel progetto confluisse direttamente una notevole quantità di know-how ed esperienza di diversi contesti. Il progetto DIDO è un buon esempio di come la diversità possa arricchire il lavoro, anche se per comunicare e coordinarsi serve uno sforzo in più.
Può raccontarci un aneddoto particolare legato a questo progetto?
Nel corso del progetto abbiamo sviluppato strumenti metodologici-didattici atti a motivare i discenti ed evitare così gli abbandoni nella formazione. Uno degli approcci adottati consisteva nell’incentivare il dinamismo di gruppo mediante attività di apprendimento. In un’ottica di doppio binario didattico, durante l’incontro iniziale la coordinatrice del progetto ha proposto diversi esercizi ai partecipanti. Tramite svariati giochi abbiamo scoperto alcune nostre affinità e curiosità. È stato stupefacente vedere come questa conoscenza ludica facilitasse la collaborazione al progetto: i partecipanti non avevano molta paura di entrare in contatto con gli altri e dimostravano fiducia nonostante le barriere culturali e linguistiche.
Cosa consiglierebbe agli istituti interessati alla partecipazione a un progetto di cooperazione?
Il primo ostacolo per un istituto svizzero che desidera partecipare a un progetto di cooperazione consiste nel trovare un partner che sia disposto a presentare un progetto in qualità di coordinatore. Per un partner associato di progetto questo è un elemento imprescindibile.
Per prima cosa, quindi, rifletterei sui contatti di cui già si dispone in Europa e chiederei loro di poter collaborare. Se un potenziale partner ha già esperienza nei progetti di cooperazione, tanto meglio per lui: in questo caso avrà più familiarità con le questioni amministrative di tali progetti a livello europeo.
Se si desidera collaborare con partner che non hanno esperienza con il programma Erasmus+, consiglio di cominciare con un progetto di mobilità. Le modalità di accesso sono più agevoli, sia per il partner europeo che per quello svizzero.
Perché i programmi di promozione sono così importanti per i progetti di cooperazione internazionale nella formazione degli adulti?
Quello della formazione degli adulti è un ambito molto dinamico. Per gli enti di formazione che operano in questo settore è vitale continuare a evolversi ed essere in grado di rispondere a una domanda in mutamento. La collaborazione e il confronto con i partner europei consentono di ripensare in modo critico le proprie pratiche e apportano numerosi spunti di riflessione. Da questo derivano innovazione e offerte formative di migliore qualità.
I programmi di promozione sono necessari perché si sviluppano approcci e strumenti che corrispondano a esigenze reali e che generino dunque un valore aggiunto per il sistema educativo e la società.
Promuovere i partenariati oltre i confini nazionali è importante, perché la diversità è fonte di arricchimento. Grazie all’eterogeneità della formazione europea degli adulti, esistono oggi esperienze e competenze molto diversificate. Ogni singolo paese rappresenta una sorta di laboratorio di sperimentazione di diversi approcci e strategie. Attraverso lo scambio transnazionale i partner di progetto possono trarre insegnamenti dalle esperienze connesse alle varie metodologie.
Quali vantaggi trae la FSEA da un partenariato strategico con istituti partner europei?
Molto concretamente la FSEA beneficia dei risultati del progetto, che poi utilizza direttamente o mette a disposizione dei suoi membri. La collaborazione a livello europeo aiuta a ottenere risultati innovativi e di elevata qualità. I tool del progetto DIDO, ad esempio, sono disponibili gratuitamente per gli enti di formazione svizzeri e aiutano ad affrontare sistematicamente gli abbandoni nella formazione.
In definitiva, i progetti di cooperazione promuovono anche le conoscenze specialistiche e i metodi dei collaboratori della FSEA coinvolti. Il progetto DIDO ha fornito nozioni ed esempi sull’approccio orientato al discente o sul ruolo della consulenza nelle offerte formative.
Come considera il sostegno di Movetia al suo progetto?
Considero il contatto con Movetia diretto, agevole e utile. Il sostegno finanziario consente alla FSEA di lavorare in modo solido e stimolante, il che genera risultati di rilievo per la formazione continua svizzera.
Rispetto alle procedure di promozione di altre agenzie nazionali, la soluzione svizzera è priva di burocrazia: questo permette anche ai piccoli enti di presentare dei progetti.
Domande di Charlotte-Sophie Ramseier, responsabile di progetto formazione degli adulti, Movetia.
Le risposte di Martina Fleischli, ex responsabile del progetto SVEB, ora responsabile del progetto VET presso Movetia.